Il ritorno di Sherlock Holmes
Il racconto più interessante tra quelli riuniti da Arthur Conan Doyle sotto il titolo de Il ritorno di Sherlock Holmes è sicuramente il primo, nel quale si spiega come e perché Sherlock Holmes abbia fatto credere a tutti (Watson compreso) di essere morto e - dopo tre anni - abbia deciso di apparire di nuovo sulla scena londinese.
Gli appassionati ricorderanno sicuramente come la silloge Le memorie di Sherlock Holmes terminasse con la morte del celebre investigatore.
Nel primo racconto della nuova raccolta - come detto - Holmes spiega a Watson di non essere affatto caduto insieme a Moriarty nella cascata, ma di aver voluto che lo si credesse, per poter meglio dare la caccia a coloro che lo volevano morto...
Nel resto del libro, la coppia Holmes-Watson, ormai ricompattata, si trova a dover risolvere nuovi casi spinosi.
A rendere interessante tali racconti, è soprattutto la descrizione che da essi emerge dell’Inghilterra vittoriana.
Si trattava di una società fortemente classista e razzista (e - sia detto per inciso - gli italiani non ne escono benissimo), nella quale, specie nelle classi dominanti, serpeggiava la paura dello scandalo.
Scandali che potevano nascere per ragioni che oggi sembrerebbero di nessun interesse se non, addirittura, ridicole.
Ma all’epoca qualsiasi banalità poteva generare uno scandalo gigantesco le cui conseguenze erano imprevedibili.
E, in molti dei racconti della raccolta, proprio per evitare gli scandali, i clienti si affidano ad Holmes, il quale - per la stessa ragione - è pronto anche a infrangere la legge.
E con lui, il fido Watson…
D’altro canto, l’amicizia virile viene prima di tutto e, se il destino dovesse essere avverso alla coppia di amici, essi - così come hanno diviso per anni il loro appartamento in Baker Street - allo stesso modo dividerebbero la stessa cella…
Un libro che - giudizio sugli italiani a parte - si legge volentieri.
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