Il contagio omosessuale
La fratellanza - Brotherhood (Broderskab) del regista italo-danese Nicolo Donato è un film duro, violento e ben realizzato (anche se con qualche ingenuità narrativa) e, soprattutto, stupendamente recitato da tutti gli attori, in modo particolare dai due protagonisti: il bello e bravo David Dencik (Jimmy) e l’altrettanto bravo Thure Lindhardt (Lars).
La vicenda è ambientata in una Danimarca affondata nei contrasti, sapientemente messi in scena senza alcuna intenzione didascalica: allo spettatore il compito di riconoscerli e di nominarli.
Si inizia con una sequenza in cui uno dei protagonisti, Lars, viene indotto a lasciare l’esercito in quanto di lui si sono scoperte le pulsioni omosessuali.
Si inizia con una sequenza in cui uno dei protagonisti, Lars, viene indotto a lasciare l’esercito in quanto di lui si sono scoperte le pulsioni omosessuali.
Si tratta di una scena che non ci si aspetta in una nazione all’avanguardia (ma, forse, poi non così all’avanguardia) per quanto riguarda i diritti della comunità omosessuale.
Si prosegue con la cieca violenza xenofoba e omofoba del gruppo neonazista al quale Lars aderisce e nel quale milita Jimmy di cui Lars finisce per innamorarsi (ricambiato).
Un aspetto, quello del neonazismo, che sta sporcando nuovamente l’Europa ricca, specie quella del Nord, facendola regredire socialmente e storicamente agli anni più bui del secolo scorso.
Si passa, poi, attraverso la sostanziale indifferenza sociale degli ambienti borghesi incarnati dai genitori di Lars e si termina con la riconosciuta parità delle coppie omosessuali nella sequenza finale della stanza d’ospedale, in cui Lars, senza paura, tiene (finalmente) tra le sue la mano del compagno Jimmy, consapevole che nessuno può vietarglielo.
Si passa, poi, attraverso la sostanziale indifferenza sociale degli ambienti borghesi incarnati dai genitori di Lars e si termina con la riconosciuta parità delle coppie omosessuali nella sequenza finale della stanza d’ospedale, in cui Lars, senza paura, tiene (finalmente) tra le sue la mano del compagno Jimmy, consapevole che nessuno può vietarglielo.
È come se il regista avesse voluto compiere una carrellata su uno spettro di reazioni: dall’omofobia strisciante e subdola, all’accettazione, passando (“zoomando”) attraverso la violenza omofoba e xenofoba esercitata nell’assoluta indifferenza dei danesi (che possono, tranquillamente, continuare a bere i loro drink nonostante qualcuno stia pestando a sangue qualcun altro a due tavoli di distanza).
Una violenza (fisica e mentale) di cui i due personaggi protagonisti sono, a vario titolo, artefici e vittime, convinti, dalla propaganda neonazista, che l’omosessualità possa trasmettersi per contagio (esemplare, a tale riguardo, la scena in cui il “branco” tenta di “risanare” Jimmy imponendogli di pestare a sangue “l’untore” Lars).
E, forse, è proprio questa duplice funzione di carnefici e vittime dei due amanti che ha impedito a chi scrive di emozionarsi per la loro storia: in fondo, non si è potuto non pensare che chi è causa del suo mal…
Ad ogni buon conto, emozione o no, il film va visto soprattutto per la bravura degli interpreti: i due protagonisti non hanno mai avuto un’espressione di troppo, una sbavatura, un movimento fuori posto.
Sono stati, si vorrebbe dire, perfetti nel ruolo di due maschi imbevuti di machismo che scoprono di essere irrefrenabilmente attratti l’uno dall’altro.
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