Magistrale DiCaprio
Shutter Island di Martin Scorsese è un gran bel film.
Tratto dal libro omonimo di Dennis Lehane, il regista e gli sceneggiatori (Laeta Kalogridis e Steven Knight) hanno rispettato la trama narrata nel romanzo, tralasciando alcuni episodi secondari (ad esempio tutti quelli relativi all’infanzia del protagonista), per rendere il film più serrato e tutto ambientato nell’isola trasformata in manicomio criminale.
Un manicomio degli Anni Cinquanta che si rivela avere due facce: quella pulita e all’avanguardia dei padiglioni A e B (divisi per sesso, nei quali i pazienti sono invogliati a partecipare a terapie di gruppo e ai quali si arriva anche ad assegnare dei lavori, come la manutenzione del giardino) e quella asfittica e sporca del padiglione C (nel quale sono segregati i soggetti più violenti che, in preda alla follia, scrivono sui muri con il proprio sangue o vegetano nella propria cella sporchi e nudi).
Una duplicità di trattamento che rimanda a diverse ipotesi mediche con le quali si può affrontare le malattie mentali nel tentativo di curarle. Differenze terapeutiche che si incarnano nei due medici responsabili della struttura: quello che sembra essere più attento alle esigenze dei pazienti e quello più inquietante che sembra vedere nei pazienti delle cavie per i propri studi sulla violenze (rispettivamente interpretati dai bravi Ben Kingsley e Max von Sydow).
Tra i meandri del manicomio criminale si aggira l’agente federale Teddy Daniels che, accompagnato dal suo nuovo collega Chuck Aule (il convincente Mark Ruffalo), è stato chiamato sull’isola per investigare sulla misteriosa sparizione di una paziente.
Nel ruolo di Teddy c’è un magistrale Leonardo DiCaprio sempre in bilico tra razionalità investigativa e violenza combattiva, tra sanità e follia. L’attore riesce a rendere sullo schermo, senza una sbavatura, il dissidio che sta logorando dall’interno il suo complesso personaggio con i suoi molteplici stati d’animo e le sue differenti reazioni che vanno dal rifiuto aprioristico della cura per i pazzi rei di omicidio, alla commozione provata al contatto con una paziente infanticida; dalla spavalderia dell’agente federale, allo smarrimento dell’uomo qualunque che si affaccia sul baratro della pazzia.
Un’interpretazione che pone DiCaprio tra gli attori viventi più grandi.
Un film da non mancare.
Tratto dal libro omonimo di Dennis Lehane, il regista e gli sceneggiatori (Laeta Kalogridis e Steven Knight) hanno rispettato la trama narrata nel romanzo, tralasciando alcuni episodi secondari (ad esempio tutti quelli relativi all’infanzia del protagonista), per rendere il film più serrato e tutto ambientato nell’isola trasformata in manicomio criminale.
Un manicomio degli Anni Cinquanta che si rivela avere due facce: quella pulita e all’avanguardia dei padiglioni A e B (divisi per sesso, nei quali i pazienti sono invogliati a partecipare a terapie di gruppo e ai quali si arriva anche ad assegnare dei lavori, come la manutenzione del giardino) e quella asfittica e sporca del padiglione C (nel quale sono segregati i soggetti più violenti che, in preda alla follia, scrivono sui muri con il proprio sangue o vegetano nella propria cella sporchi e nudi).
Una duplicità di trattamento che rimanda a diverse ipotesi mediche con le quali si può affrontare le malattie mentali nel tentativo di curarle. Differenze terapeutiche che si incarnano nei due medici responsabili della struttura: quello che sembra essere più attento alle esigenze dei pazienti e quello più inquietante che sembra vedere nei pazienti delle cavie per i propri studi sulla violenze (rispettivamente interpretati dai bravi Ben Kingsley e Max von Sydow).
Tra i meandri del manicomio criminale si aggira l’agente federale Teddy Daniels che, accompagnato dal suo nuovo collega Chuck Aule (il convincente Mark Ruffalo), è stato chiamato sull’isola per investigare sulla misteriosa sparizione di una paziente.
Nel ruolo di Teddy c’è un magistrale Leonardo DiCaprio sempre in bilico tra razionalità investigativa e violenza combattiva, tra sanità e follia. L’attore riesce a rendere sullo schermo, senza una sbavatura, il dissidio che sta logorando dall’interno il suo complesso personaggio con i suoi molteplici stati d’animo e le sue differenti reazioni che vanno dal rifiuto aprioristico della cura per i pazzi rei di omicidio, alla commozione provata al contatto con una paziente infanticida; dalla spavalderia dell’agente federale, allo smarrimento dell’uomo qualunque che si affaccia sul baratro della pazzia.
Un’interpretazione che pone DiCaprio tra gli attori viventi più grandi.
Un film da non mancare.
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