Simboli che non comunicano

Nell’ambito del Festival Internazionale di Teatro Musica e Danza “Il Centro e la circonferenza” è stato presentato ieri al Teatro Sociale di Bergamo lo spettacolo Fango che diventa luce di Mariangela Gualtieri per la regia di Cesare Ronconi.
Va detto che, probabilmente, la cornice in cui lo spettacolo è stato realizzato non ha aiutato: un teatro all’italiana, infatti, sembra poco consono a contenere certo tipo di sperimentalismo teatrale, perché distorce la visione e separa troppo nettamente il pubblico dalla platea.
Probabilmente, invece, Fango che diventa luce avrebbe bisogno, per essere vissuto pienamente, di un luogo che faciliti la condivisione tra spettatori e attori, in una sorta di rito moderno, di rito collettivo della mattanza. 

Ciò detto, non ci si può esimere dal riferire che – a chi scrive – Fango che diventa luce non ha comunicato neppure una emozione. 
Infatti, lo spettacolo – nonostante la crudezza di certe immagini e la violenza di certi suoni – risulta essere poco o per nulla comunicativo, incentrato (e, forse, incancrenito) com’è sulla simbologia. 
Una simbologia che non riesce a trasmettere un messaggio chiaro, se non per lampi improvvisi, ma insufficienti a rischiarare a lungo.

Uno spettacolo che, si suppone, dovrebbe raccontare della Creazione (il fango che si fa luce del titolo è, in tal senso, un indizio forte), ma che racconta, invece, una sgradevole e inconcludente mattanza.

Uno spettacolo che, per quanto assai bene interpretato da Marianna Andrigo, Silvia Calderoni, Leonardo Delogu, Elisabbetta Ferrari e Dario Giovannini, non si ha cuore di consigliare.

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