Un secolo di risate
Antonio Ghirelli, già direttore del TG2 e ufficio stampa del Quirinale e di Palazzo Chigi, ha riunito nel volumetto Un secolo di risate, edito da Avagliano, una serie di ritratti dedicati ai quei comici napoletani che si sono imposti all'attenzione del pubblico italiano nel corso del Novecento.
Il libro è di facile lettura e si rivolge a un pubblico di non specialisti desideroso di sapere qualcosa di più dei propri beniamini.
Il racconto avanza in modo cronologico: dopo un excursus dedicato alla storia del teatro in Italia dalle origini al Novecento (nel quale si fa riferimento a forme di discendenza tra un tipo di comicità e l'altro che, però, gli storici del teatro più avveduti hanno messo in dubbio), si parte con il capitolo dedicato ad Antonio Petito e si conclude con quello, pieno di commozione, scritto in onore di Massimo Troisi.
Un capitolo a sé è lasciato a Vittorio De Sica (elogiato più come regista cinematografico che come attore brillante), in quanto napoletano solo d'elezione e non anche di nascita (nacque, infatti, a Sora).
Di Antonio Petito si mettono in rilievo i cambiamenti da lui apportati alla maschera di Pulcinella e si raccontano alcuni aneddoti atti a mettere in mostra la sua vocazione allo scherzo, a volte, crudele.
Di uno di tali scherzi (piuttosto pesante) fu vittima Eduardo Scarpetta (che, curiosamente, da piccolo aveva paura della maschera di Pulcinella) quando entrò a far parte della compagnia di Petito che lo volle con sé dopo averlo visto e applaudito nel ruolo di Felice Sciosciammocca, «un personaggio che Scarpetta costruisce gradualmente, partendo dal Pulcinella umanizzato di Petito, uno spiantato e scapestrato studente di provincia che diventa via via l'incarnazione della piccola borghesia napoletana [...]».
Molto bello, forse il migliore del libro, è il capitolo dedicato a Raffaele Viviani, comico dal feroce sarcasmo lontano da ogni stereotipo sulla napoletanità, nel cui teatro si parla dei «problemi, le passioni, la psicologia del popolo, semplicemente perché è cresciuto alla scuola della strada [...]».
Il ritratto dedicato a Eduardo De Filippo lascia un po' perplessi perché spiega l'arte universale di uno dei più grandi uomini di teatro del Novecento (non solo italiano, ma mondiale) in termini di napoletanità: «Questa napoletanità di Eduardo non consiste soltanto nel dialetto o nel ricordo tenace di certe consuetudini, ma investe soprattutto la sua ambiguità, tipicamente napoletana, l'oscillazione costante tra tragedia e farsa, tra gestualità elementare e parola complessa, tra verità sofferta e sfrenata menzogna, anche tra realismo e metafisica».
Ma, forse, tale spiegazione era un po' dovuta in un volume che fa di Napoli la terra d'elezione della comicità novecentesca.
Di Peppino De Filippo l'autore elogia la strepitosa comicità che ne fece uno degli attori comici più grandi del Novecento (al fianco, come disse Eduardo, di Chaplin e Buster Keaton), ma non apprezza la scelta di abbandonare il dialetto napoletano per un teatro in lingua, seppur farsesco.
Grande e doveroso omaggio anche a Totò che «era, tutto insieme, un mimo delle Atellane, un macchiettista di fine Ottocento e un comico della più ardita avanguardia. [...] Il suo surrealismo, vertiginosamente scatenato sui giochi di parole o sugli scatti burattineschi delle giunture, seduce i giovani e gli intellettuali non meno di quanto la sua sboccata innocenza continui a deliziare per via catodica il pubblico più umile e sprovveduto».
Un libro, quello di Ghirelli, che si legge con piacere e che rende giustizia a quell'arte difficile e troppo spesso sottovalutata che è la comicità.
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