Scrittori in galera
Scritti galeotti. Letterati in carcere di Daria Galateria, Rai Eri, 2000.
Davvero interessante e scritto bene (con tanto di tocco ironico che non guasta) il libro di brevi saggi che Daria Galateria dedica ad alcuni scrittori che hanno conosciuto il carcere. Di ognuno di loro l’autrice traccia una brevissima biografia, illustra le ragioni del loro arresto; l’andamento del dibattimento in tribunale (quando c’è stato) con tanto di ragioni dell’accusa e la linea difensiva; la vita da recluso e, infine, quando si è prodotto, il mutamento sullo stile delle scrittore che la prigionia ha causato. A volte, però, ed è, ad esempio, il caso di Jean Genet, è stata proprio l’esperienza carceraria a far maturare nel ladro e nel giovane mercenario dell’amore la consapevolezza di essere uno scrittore.
A proposito della linea difensiva adottata dagli scrittori, forse la più spiritosa e impertinente è quella fatta propria dall’appena ventenne Voltaire che negava di essere l’autore di alcune strofe – nelle quali si accusava (a ragione, dirà la Storia) il Reggente di Francia Philippe di avere rapporti con la propria figlia – in quanto i versi erano troppo brutti per essere stati scritti da lui! Ancora più impertinente Voltaire si dimostrò quando, dopo aver assaporato la galera, fu ricevuto dal Reggente al quale si rivolse in tali termini: «Monsignore troverei un’ottima cosa che Vostra Maestà volesse continuare a occuparsi del mio vitto, ma Vi supplico di non occuparVi più del mio alloggio». La pensione chiesta tra le righe fu dal Reggente accordata: incestuoso, ma spiritoso questo Filippo di Francia!
A volte in carcere si poteva vivere in modo tutto sommato più che decente (come dimostra il marchese De Sade che, nella casa per malati mentali in cui era recluso, era in grado di organizzare festini, balli e rappresentazioni teatrali cui partecipava la buona società; o come «il confino da ridere», la definizione è di Moravia, cui fu sottoposto Malaparte a… Forte dei Marmi!); altre volte, invece, la reclusione si tramutò nell’esperienza peggiore della propria vita (è il caso notissimo di Oscar Wilde).
La prigione, però, poté significare anche un momento di relativa “evasione” dalla propria “missione”: è il caso, ad esempio, del patriota Luigi Settembrini che, in carcere, scrisse quel delizioso capolavoro che è I Neoplatonici (Erotico e ironico al contempo, I Neoplatonici inneggia all’amore bisessuale. Due giovani amici, infatti, scoprono le gioie del sesso, prima sperimentando tra loro e, poi, aprendosi agli altri, non rifuggendo dall'eros eterosessuale. Finiranno, entrambi, per sposarsi, ma continueranno a vedersi per scambiarsi amorevoli attenzioni).
Un libro che vale la pena di leggere.
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