Un epistolario da leggere tutto d’un fiato
Stephen Spender, Caro Christopher. Lettere a Christopher Isherwood, 1929-1939, Archinto, 1993.Di solito gli epistolari degli scrittori si rivelano un po’ falsi, in quanto troppo costruiti. Spesso, infatti, si ha quasi l’impressione che certe frasi siano state scritte dall’autore con l’assoluta convinzione che le sue missive sarebbero state, prima o poi, pubblicate e lette da un pubblico di appassionati. Ecco, allora, una scrittura sorvegliata, una percepibile attenzione ad ogni dettaglio, con la conseguenza che certi epistolari assomigliano a libri costruiti con pazienza, più ad uso dei posteri che dei destinatari delle lettere (impressioni che, molto spesso, si hanno anche alla lettura dei diari di certi scrittori).
Assolutamente distante dalla scrittura sorvegliata e per i posteri di cui si è detto è quella di Stephen Spender, autore di una serie di lettere scritte al suo amico e collega Christopher Isherwood tra il 1929 e il 1939 e il fatto sorprende se si tiene conto che Spender è, assieme a Isherwood, Auden, Forster e pochi altri uno dei più grandi scrittori inglesi del Novecento. Nelle lettere Spender si esprime con assoluta naturalezza, come se la sua corrispondenza con l’amico dovesse restare un fatto privato per sempre. Tutto è scritto come viene (si ha addirittura l’impressione che Spender non stendesse neppure una minuta delle lettere) e con il linguaggio che si usa tra amici (e non tra scrittori che si stanno scrivendo). Prova ne sia un solo esempio estratto da una lettera del 1933:
Assolutamente distante dalla scrittura sorvegliata e per i posteri di cui si è detto è quella di Stephen Spender, autore di una serie di lettere scritte al suo amico e collega Christopher Isherwood tra il 1929 e il 1939 e il fatto sorprende se si tiene conto che Spender è, assieme a Isherwood, Auden, Forster e pochi altri uno dei più grandi scrittori inglesi del Novecento. Nelle lettere Spender si esprime con assoluta naturalezza, come se la sua corrispondenza con l’amico dovesse restare un fatto privato per sempre. Tutto è scritto come viene (si ha addirittura l’impressione che Spender non stendesse neppure una minuta delle lettere) e con il linguaggio che si usa tra amici (e non tra scrittori che si stanno scrivendo). Prova ne sia un solo esempio estratto da una lettera del 1933:
Per darti un’idea del gelo che fa qui, ti dico solo che ho una gran voglia di cacare ma ho troppo freddo per andare in un’altra stanza.
Nelle lettere Spender parla di come procede il suo lavoro creativo (fatto di poesie, articoli, saggi, testi teatrali e della stesura continua del romanzo Il Tempio); di come viveva la difficile situazione politica mondiale con l’ascesa del nazismo; ma soprattutto parla della vita quotidiana, dei suoi sentimenti, delle storie d’amore, la più significativa delle quali, in quel periodo, fu quella con Tony Hyndman, un giovane inglese che Spender assunse come segretario nel 1933 e che presto divenne il suo compagno. La storia ebbe alti e bassi (come qualsiasi amore che si rispetti), ma durò fino al 1936, anno nel quale Spender sposò (a sorpresa, verrebbe voglia di dire) la giovane Inez Pearn.
Tony, molto probabilmente per il dispiacere, andò in Spagna per combattere i fascisti, ma non fu una scelta saggia, in quanto egli non era adatto alla vita militare (le lettere non lo dicono, ma Spender si attivò per riportarlo in Inghilterra). Nel 1939 Inez decise di lasciare il marito.
L’epistolario si ferma qui: con la notizia data all’amico dell’abbandono del tetto coniugale da parte dell’adorata Inez. Noi posteri sappiamo che quasi contemporaneamente ci fu un riavvicinamento con Tony.
Un epistolario, quello di cui si è detto, che, se si riesce a trovare in qualche libreria, vale la pena non lasciarsi scappare.
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