Post

Il gioco che unisce

Immagine
Un bancone lungo quasi quanto tutto il palcoscenico divide in due lo spazio, ma, soprattutto, separa i due attori: dietro il bancone il portiere di notte; davanti a esso il cliente. Il bancone, quindi, traccia una linea di separazione; un confine tra i corpi. Uno sbarramento che pare invalicabile, ma che, in un paio di occasioni, sembra vacillare. Da una parte, dunque, il portiere di notte. Figura fisicamente presente, ma mentalmente assente: annoiato e insonnolito. Dall’altra parte il cliente. Un giocatore d’azzardo incallito che sostiene di aver visto tempi migliori, ma che, ora, è costretto, da una fortuna avversa, a sbarcare il lunario. A tentare di oltrepassare la barriera-bancone ci prova il cliente che racconta al neoassunto portiere di notte di Hughie, il vecchio portiere, deceduto da poco a causa di una malattia. Un lungo “canto funebre” che traccia di Hughie il ritratto di un uomo scialbo e senza qualità. Ma non è tanto quello che di Hughie racconta che interessa: il vero ful

Le parole costruiscono muri

Immagine
Federico Palumeri; Irene Ivaldi e Elio D'Alessandro Le parole costruiscono muri, sillaba dopo sillaba; mattone su mattone. Sono muri che entrano nella testa e non ne escono più. Muri che definiscono le identità. Come gli uccelli di Wajdi Mouawad , per la regia di Marco Lorenzi , parla di questi muri. Li mostra. Si tratta di uno spettacolo intenso e coinvolgente , quello visto al Teatro Fontana di Milano, con un cast internazionale e un’ottima regia. Gli attori sono tutti assai bravi e, oltre che con il testo in italiano, si cimentano anche con l’arabo, l’ebraico e il tedesco: la storia, infatti, prevede battute in lingue diverse che la regia ha scelto di porgere al pubblico nella lingua in cui sono previste dal testo, proiettando su un muro di sfondo la traduzione in italiano. E, se al principio, si può credere che la proiezione del testo sia un “facile” espediente per aiutare gli spettatori a comprendere la storia, basta davvero poco per rendersi conto che quelle parole sono, lett

Tutti vogliono una mamma

Immagine
Più che essere un inno alla spensieratezza dell’infanzia, Peter Pan di James Matthew Barrie è un inno alle madri e al loro “senso materno”. È vero che Peter è un eterno fanciullo e ha la svagatezza tipica della sua giovane età, ma è altrettanto vero che tale leggerezza (che, unita alla polvere di fata, gli consente di volare) a volte diventa alquanto inquietante. Succede soprattutto quando Peter viene colto da completi momenti di smemoratezza che, più che a un bimbo, lo fanno assomigliare a un uomo anziano che non riesce più a ricordare neppure quanto gli è appena successo. Sì, Peter è un bambino nel fisico e nelle reazioni emotive, ma un vecchio dal punto di vista della memoria. Inoltre, nonostante Peter si rifiuti di crescere, ha, in nuce, molte caratteristiche tipiche dell’età adulta, specie quelle più sgradevoli: è autoritario; aggressivo e violento. E, forse, non è un caso che, quando finalmente riesce a uccidere Capitano Uncino (il suo più acerrimo nemico), prende il comando de

Asimov profeta

Immagine
Ci sono pensatori che vedono talmente avanti, da poter essere considerati dei profeti. Isaac Asimov, forse, può essere considerato uno di loro. Io, robot di Isaac Asimov edito in Italia da Mondadori è un libro pubblicato nel 1950 e, a tutti gli effetti, rientra nel genere fantascientifico. Oggi, però, in cui si dibatte in tutto il mondo sulle potenzialità e sui pericoli dell’Intelligenza Artificiale, il libro potrebbe essere letto quasi come un saggio, o, forse, addirittura come un pamphlet . In esso, infatti, Asimov descrive sia le potenzialità, sia, soprattutto, i pericoli che comporta l’uso dei «robot positronici» (ossia muniti di un cervello e di una personalità; oggi si parlerebbe genericamente di AI). Nei nove racconti (ma, forse, sarebbe meglio definirli episodi *) che compongono il libro, vengono sì mostrati al lettore gli indubbi vantaggi che si ottengono dall’utilizzo dei robot in specifiche attività; ma vengono, parallelamente, anche indicati i pericoli che qualcosa possa

Il nome della rosa di Mananara | Vol. 1

Immagine
La traduzione grafica che Milo Manara sta compiendo de Il nome della rosa di Umberto Eco è imperdibile. Nel primo volume dedicato al capolavoro di Eco, Manara ha concentrato l’attenzione sull’azione investigativa del protagonista (quel Guglielmo da Baskerville che molto deve a Sherlock Holmes anche nel nome), tralasciando le dispute filosofiche ed ermeneutiche che nel romanzo tengono a lungo impegnati i personaggi principali. La trama, quindi, è costruita per porre in massima luce le doti di investigatore-ragionatore del protagonista (a cui Manara dona le sembianze di Marlon Brando), affiancato da Adso da Melk, giovane apprendista che, al pari di Watson, prende nota di ciò che avviene e lo rende pubblico. Non mancano, però, le digressioni storiche, come quella corposa dedicata alla vicenda di fra Dolcino che, come i lettori del romanzo certo ricordano, ha legami stretti con alcuni dei monaci presenti nell'abbazia in cui si svolge l’azione. E per narrare tali digressioni, Manara

La lava nel corpo

Immagine
Anche quando il suo strato superficiale sembra essersi solidificato e raffreddato, la lava può continuare il suo viaggio, scorrendo lenta e infuocata proprio al di sotto di quello strato da lei stessa creato. E così, mentre in superficie si presenta all’osservatore un panorama sterile e lunare, nelle viscere il fuoco brucia e divora. Similmente, anche un corpo che sembra ormai acquietato e ammansito, può essere percorso da un metaforico fiume di lava che lo ridesta ai sensi. Christos Mortzos , nelle poesie riunite in Stele di lava , volume edito a Colonia in edizione limitata e numerata, sembra alludere al risveglio del corpo a contatto con una Natura che pare “addomesticata” dall’uomo nel corso dei millenni, ma che, in realtà, è rimasta “indomita”. Una Natura in grado di prendere il sopravvento sul corpo e sull’anima del Poeta, viandante tra le terre antiche della Magna Grecia. Una Natura che, divinizzata, è anche in grado - sotto le sembianze di Eros - di far sgorgare qualche goccia

"Non ho cambiato mestiere, ho cambiato arte"

Immagine
Un Novecento scomodo di Doriana Legge edito da Bulzoni è un saggio che dovrebbe essere letto non solo da coloro che si occupano della Storia del Teatro , ma anche da coloro che sono interessati alla Storia delle Donne . Infatti nel saggio vengono tratteggiate le figure di tre artiste che, oltre ad essere state grandi nelle loro rispettive professioni, sono anche state donne che hanno dovuto combattere contro l’ostilità di certo mondo maschile che, dalla loro intraprendenza, si è visto minacciato. Le tre artiste sono Emma Gramatica; Anna Fougez e Tatiana Pavlova (a cui è dedicata la parte maggiore del volume). A Emma Gramatica si deve la citazione usata come titolo di questo scritto. Fu una donna che non si conformò allo stereotipo che voleva la femmina angelo del focolare: moglie e madre esemplare. Ella, per usare le parole della Saggista, «si costruisce come figura colta e intelligente, capocomica inflessibile e spietata con i concorrenti, donna d’affari, e nubile.», tutte caratte